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SOCIETA' IMMOBILIARI: OBBLIGO DI CONSERVARE I CONTRATTI PRELIMINARI DI COMPRAVENDITA

La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 36624 depositata ieri, conferma il principio in base al quale tra le “scritture contabili” da conservarsi obbligatoriamente da parte di una società immobiliare, al fine di evitare l’integrazione della fattispecie di cui all’art. 10 del DLgs. 74/2000 (occultamento o distruzione di documenti contabili), rientrano anche i contratti preliminari, essendo ciò richiesto dalla natura dell’impresa (cfr., con riguardo ad un agente immobiliare, la sentenza 17 gennaio 2012 n. 1377, sulla quale si veda “L’agente immobiliare deve conservare i preliminari” del 18 gennaio 2012).

Sul tema appare opportuno partire dalla lettera dell’art. 10 del DLgs. 74/2000. Ai sensi di tale disposizione, salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, ovvero di consentire a terzi l’evasione, occulta o distrugge in tutto o in parte “scritture contabili o documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari”.

La norma, quindi, rimanda, seppure implicitamente, ai fini dell’individuazione dell’oggetto materiale del reato, a quelle scritture contabili ed a quei documenti che, alla strega di altre norme, devono essere obbligatoriamente conservate. È indubbio, peraltro, che, alla luce della ratio della disposizione normativa – ovvero garantire l’esatto adempimento delle obbligazioni tributarie – i documenti e le scritture contabili non possano che essere quelli e solo quelli aventi rilievo sotto il profilo fiscale.

Occorre, quindi, fare riferimento all’art. 22 del DPR 600/73. Il secondo comma di tale disposizione stabilisce che “le scritture contabili ai sensi del presente decreto, di altre leggi tributarie, del codice civile o di leggi speciali devono essere conservate fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta anche oltre il termine stabilito dall’art. 2220 del codice civile o da altre leggi tributarie, salvo il disposto dell’articolo 2457 del detto codice”. Il terzo comma, inoltre, precisa che “fino alla stesso termine di cui al precedente comma devono essere conservati ordinatamente, per ciascun affare, gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevutee le copie delle lettere e dei telegrammi spediti e delle fatture emesse”. Nell’elencazione tassativa di cui all’art. 22 comma 3 del DPR 600/73 non rientrano i contratti preliminari di compravendita di immobili. Con riguardo alle scritture contabile obbligatorie, peraltro, il secondo comma dell’art. 22 del DPR 600/73 rimanda, tra le altre disposizioni normative, anche al codice civile e, quindi, all’art. 2214 c.c.

Ne consegue che tra le scritture contabili obbligatorie rientrano anche – oltre al libro giornale ed al libro degli inventari di cui al primo comma – “le altre scritture che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa”. A giudizio della Suprema Corte è proprio alla luce di tale riferimento normativo – dove, senza puntuali indicazioni, si attribuisce rilevanza alla natura dell’impresa edall’attività svolta – che i contratti preliminari di compravendita di immobili assurgerebbero ad oggetto materiale del reato di cui all’art. 10 del DLgs. 74/2000, in relazione alle società immobiliari.

Infatti non sarebbe dubbio che i contratti in questione, da un lato, ineriscano esattamente all’attività di simili imprese e, dall’altro, nonpossano non rivestire “natura contabile”, atteso che, comprovando l’avvenuta corresponsione di pagamenti a titolo di caparra in vista della stipulazione del contratto definitivo, assumono la veste di vera e propria ricevuta, indubbiamente rilevante ai “fini fiscali”, attestando, per l’impresa venditrice, un ricavo imponibile. Tale conclusione, peraltro, non si applica ai piccoli imprenditori di cui all’art. 2083 c.c. L’art. 2214 comma 3 c.c., infatti, precisa che l’intero paragrafo 2 – in cui lo stesso art. 2214 è collocato – non trova ad essi applicazione; con conseguente irrilevanza, tra l’altro, anche della previsione della tenuta delle scritture richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa.Anche le motivazioni della pronuncia in commento non sembrano in grado di superare le critiche avanzate da autorevole dottrina nei confronti del conforme precedente di legittimità sopra ricordato. Si osserva, in particolare, che la norma civilistica si riferisce alle “scritture contabili” –e tale non è il contratto immobiliare – e non sancisce la tenuta di atti e documenti ulteriori rispetto a quelli espressamente indicati; né tale obbligo risulta desumibile da ulteriori disposizioni relative all’accertamento tributario. I Giudici di Legittimità, in pratica, sembrano confondere ciò che è utile per l’accertamento con ciò che è doveroso conservare, facendo emergere dubbi sulla tassatività della fattispecie.

Fonte:Eutekne

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